
La Pietà rediviva. Per l’Unione Musicale travolgente omaggio a Vivaldi delle Musiciennes du Concert de Nations e di Jordi Savall
di Lorenzo Montanaro
C’era una volta l’Ospedale della Pietà di Venezia. Era un’istituzione benefica che accoglieva bimbe rimaste orfane o abbandonate, educandole alla musica, sotto la guida dei più grandi maestri del tempo. Quel luogo, ben noto in tutta Europa, divenne particolarmente celebre quando, a più riprese, tra il 1703 e il 1717, la direzione musicale dell’istituto fu affidata a un genio come Antonio Vivaldi, che portò la Pietà ai massimi livelli di perfezione musicale e scrisse per le giovani musiciste (le “pute”, cioè le ragazze), alcuni tra i capolavori più alti del suo ingegno creativo. Bene, ora chiudiamo gli occhi e immaginiamo che, per una miracolosa contrazione del tempo, i fasti di quell’orchestra tutta al femminile tornino a risuonare, qui e ora, per le nostre orecchie di uomini e donne del 2025. Possibile? In un certo senso sì, anche se in un modo tutto nuovo. Les Musiciennes du Concert des Nations è un ensemble che riunisce alcune tra le più talentuose musiciste specializzate in strumenti storici (una ventina in tutto), dirette da un nume tutelare della musica antica come Jordi Savall. Mercoledì 5 marzo, a Torino, per la stagione dell’Unione Musicale, il gruppo, che si richiama espressamente al modello veneziano, ha voluto rendere omaggio a Vivaldi, in un concerto memorabile.
Si fa presto a dire che un’orchestra è un organismo vivente, dotato di un suo cuore e di un suo spirito, non riducibile alla somma delle parti. Spesso lo si sente ripetere e pare un luogo comune. Però, quando ci si trova davanti a un ensemble che davvero funziona, la sensazione è nettissima. Nel caso delle Musiciennes l’effetto di assoluta sintonia si deve senz’altro alle eccellenze individuali, alla maestria di uno “stregone saggio” come Savall, all’estro e al virtuosismo di un primo violino come Alfia Bakieva (musicista di origini tartare), ma tutti questi elementi convergono poi a creare un pensiero, una visione, che fa del connubio tra passione ed eleganza la propria cifra.
La serata si è aperta con tre perle dal repertorio vivaldiano per archi: il Concerto in Fa maggiore per violino, violoncello, archi e continuo RV544; il Concerto in Re minore per 2 violini, violoncello, archi e continuo RV565; il Concerto per 4 violini, violoncello, archi e continuo RV580, questi ultimi due, come ha ricordato lo stesso Savall, poi trascritti da Bach, segno della grande ammirazione che il genio di Eisenach nutriva per il compositore veneziano. E in effetti basta ascoltare queste pagine per scorgerne la grandezza, che si esprime sia nell’afflato melodico, sia nel contrappunto (come ad esempio, nel terzo movimento, Allegro, del Concerto in Re minore, dove le voci si inseguono in un fugato, oppure nel dialogo tra i 4 violini del Concerto in Si minore). L’ensemble ha reso pieno onore alle partiture, con scelte molto equilibrate, sia nelle dinamiche, sia nei tempi (brillanti dove necessario, ma evitando quegli effetti “da Ridolini”, ovvero le velocità vorticose che ormai contraddistinguono tante esecuzioni barocche).
E poi, ovviamente (o forse no?), Le Stagioni, i Concerti per violino RV269 (La primavera, in Mi maggiore), 315 (L’estate, in Sol minore), 293 (L’autunno, in Fa maggiore), 297 (L’inverno, in Fa minore), sicuramente nel novero delle composizioni più note e più eseguite al mondo. In effetti, per paradosso, anche a prescindere dalle notevoli sfide tecniche, concepite da un genio del violino, non è affatto facile accostarsi a pagine così universalmente amate e però anche così decontestualizzate, sminuzzate, triturate (pensiamo all’incipit della Primavera), trasformate in musiche per pubblicità, suonerie, colonne sonore delle snervanti attese al telefono. Savall e Les musiciennes hanno fatto una scelta interpretativa molto netta e per certi versi radicale. Radicale proprio nel senso del ritorno alle radici. Hanno infatti voluto che l’esecuzione musicale fosse intercalata, ma in certi momenti anche proprio intrecciata, con la lettura (affidata alla voce recitante di Olivia Manescalchi) dei Sonetti che Vivaldi stesso (almeno secondo una delle interpretazioni più accreditate) scrisse per accompagnare le composizioni. Versi in cui l’italiano letterario e la dizione veneta convivono fianco a fianco. Il risultato è stato forse un po’ didascalico, ma certamente d’impatto. Sul piano esecutivo, la scelta si è tradotta in un’assoluta attenzione al dettato vivaldiano, le cui indicazioni sono divenute quanto mai esplicite. Ne è emerso così un quadro a colori accesi, vividi, capace di stimolare tutti i sensi. Sì, perché le Stagioni, così come Vivaldi le immagina e le racconta, non sono scenette arcadiche e letterarie, ma scorci veraci, a tratti perfino un po’ crudi, di un mondo contadino che il compositore aveva ben presente: i mosconi che d’estate rendono impossibile il sonno, il battere dei denti d’inverno e il ghiaccio su cui è facile ruzzolare, le sbronze autunnali col vino nuovo, la preda che si dimena e poi cade a terra esangue, durante una battuta di caccia.
Les Musiciennes hanno saputo restituire appieno questo straordinario intreccio di suoni, rumori, umori, odori, trascinate da Savall e da Alfia Bakieva, che, forse complice la sua grande versatilità (è una virtuosa del violino classico, ma è anche esperta di musica folk) non ha avuto paura di piegare la voce dello strumento ai diversi effetti, si trattasse di un cardellino o del singhiozzo degli ubriachi. Così i quattro capolavori vivaldiani hanno riacquistato la loro freschezza, in un’esecuzione travolgente, pur senza mai uscire dai canoni dell’equilibrio e del gusto. Splendido, per citare un esempio tra tanti, l’inizio dell’Inverno, con quell’effetto da “budello crudo” e l’arco vicinissimo al ponte, in una sonorità volutamente aspra, come di ghiaccio frantumato, testimonianza di quanto Vivaldi sia stato anticipatore dei tempi, immaginando, a tratti, soluzioni quasi da avanguardie novecentesche.
A fine concerto, il pubblico, che gremiva il salone del Conservatorio, è esploso in un applauso degno di un concerto rock. E l’ensemble ha ricambiato l’affetto eseguendo, come bis, l’Andante dal Concerto “a due cori” per violino in Si bemolle maggiore RV583, una tra le pagine più commoventi e luminose non solo della produzione vivaldiana ma forse della musica di tutti i tempi.
Fotografie di Luigi De Palma
Unione Musicale
Conservatorio di Musica "G. Verdi" di Torino
Mercoledì 5 marzo 2025