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A Ravenna due serate con il Bach personale (ma non arbitrario) di Kavakos

di Mauro Mariani

Nel 2022 sono usciti i due CD con i Sei Solo di Bach registrati da Leonidas Kavakos in una chiesa di Berlino. Anche ora al Ravenna Festival li ha eseguiti in una chiesa, Sant’Apollinare in Classe, che non soltanto emana una grande suggestione ma ha anche - è il caso di dirlo, perché non è affatto scontato - un’eccellente acustica. Questo non deve però far pensare che il cinquantacinquenne violinista greco cerchi romanticamente nella musica di Bach l’aspetto mistico e religioso, come alcuni grandi interpreti di un lontano passato, quali Schweitzer e Casals. La sua interpretazione non tende neanche alla purezza neoclassica di Milstein, Grumiaux e altri violinisti di un passato meno lontano. La sua non è neppure un’esecuzione “storicamente informata”: in un’intervista ha affermato che «un arco barocco è molto utile per imparare come approcciarsi a questa musica e ti porta a suonarla come dovrebbe essere suonata; ma una volta che hai questa conoscenza, non c'è nessun arco d'epoca che possa eguagliare la capacità di un arco di Tourte o Peccatte». E se ha abbassato il diapason, non è per scrupolo filologico ma perché «apre il suono del violino […] crea spazio in modo che le note basse suonino effettivamente come note basse: poiché il violino è uno strumento ad alta frequenza, generalmente gli manca la profondità dei registri più gravi».

Ma allora com’è la sua interpretazione? Diversa da ogni altra, molto personale ma non arbitraria. Da un lato la sua lettura può essere definita oggettiva, perché è fedelissima al testo (abbellimenti compresi), esegue tutti ritornelli, si mette totalmente al servizio della musica di Bach. Ma allo stesso tempo è soggettiva, perché sceglie un’intensità e un colore diversi per ogni nota, anche per le singole note che costituiscono un accordo. Ci vuole una tecnica dell’arco prodigiosa per ottenere questo risultato, che lascia stupiti e ammirati, ma non è affatto un’esibizione virtuosistica, perché, se fosse questo il suo intento, Kavakos potrebbe fare con minore fatica cose ben più appariscenti. Semmai c’è un sospetto di manierismo in questa ricerca di differenziare microscopicamente ogni singola nota. Come che sia, il risultato è straordinario, in particolare nelle Fughe, tanto che la prima in ordine di esecuzione, quella della Sonata n.2, è accolta da uno spontaneo applauso, fuori luogo ma giustificato dalla bellezza di ciò che si è ascoltato.

Il primo concerto inizia (l’ordine d’esecuzione è lo stesso seguito da Kavakos nei due CD: Partita n.3, Sonata n.3, Sonata n.2; Sonata n.1, Partita n.1, Partita n.2) col Preludio della Partita n.3 e per l’ascoltatore è subito uno choc, per il combinato disposto del tempo formidabilmente veloce e della differenziazione di ogni singola nota: questo turbine di note dal colore sempre leggermente diverso l’una dall’altra si risolve in una sorta d’iridescente nebbia sonora. Segue la Loure, da cui scompare ogni riferimento al ritmo di danza, che in Bach è debole ma sussiste. Viceversa la Gavotte en Rondeau conserva all’inizio, ma soltanto all’inizio, la sua grazia rococò. Insomma in ogni movimento l’interpretazione di Kavakos cambia. Il solo comune denominatore è la scelta di tempi più rapidi del consueto, spesso molto più rapidi, con poche eccezioni.

La sera successiva molte cose cambiano. Soprattutto i tempi diventano prevalentemente lenti, talvolta lentissimi. È il caso dell’Adagio e dell’Allemande che aprono rispettivamente la Sonata n.1 e la Partita n.1. Nella Sarabande della Partita n.1 il tempo molto lento e il ritmo molto libero lasciano emergere la spiritualità e il raccoglimento quasi religioso di questa musica, fino ad allora assenti nell’interpretazione di Kavakos. Però in questa stessa Partita il Double della Courante ha la velocità di un fulmine e la Bourrée (Bach la definisce Tempo di Borea) è scatenata. Infine nella Ciaccona della Partita n.2, tenuta in serbo come gran finale, le arcate - fino ad allora cortissime - diventano più lunghe e il suono più omogeneo, valorizzando splendidamente la cantabilità dolcissima e perfino commovente del movimento più celebre di questa sublime raccolta. Come bis Kavakos esegue nuovamente il Preludio della Partita n.3, questa volta decisamente più lento di come lo avevamo ascoltato all’inizio della sera precedente.

Già durante il primo concerto gli applausi erano stati più che calorosi, ma alla fine del secondo tutto il pubblico era in piedi ad applaudire Kavakos entusiasticamente.

Fotografie: Zani-Casadio

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