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Chigiana International Festival: una prima di Sciarrino per Ilya Gringolts

di Mauro Mariani

Annoverando alcuni dei migliori musicisti a livello mondiale tra i docenti dei suoi corsi, l’Accademia Musicale Chigiana ha il privilegio di potersi appoggiare ai musicisti “di casa” per realizzare il suo magnifico festival estivo. Ecco un esempio: il giorno dopo il concerto di Tabea Zimmermann (con l’intervento alle percussioni di Antonio Caggiano, anch’egli docente chigiano) e il giorno prima del concerto sinfonico in Piazza del Campo con altri due docenti, la pianista Lilya Zilberstein e il direttore d’orchestra Daniele Gatti, è stata la volta di un recital di Ilya Gringolts. Si è svolto nella sala da musica di Palazzo Chigi Saracini, relativamente piccola e quindi acusticamente ideale, che però in un’estate torrida come questa si è trasformata in un ambiente soffocante, anche perché su richiesta di Salvatore Sciarrino (un altro docente chigiano) l’impianto di condizionamento è stato spento per fondati motivi d’ordine musicale: il suo soffio, seppure quasi inavvertibile, avrebbe infatti potuto disturbare le sonorità delicatissime dei suoi Sei nuovi Capricci e un saluto per violino solo.

Questa nuova creazione di Sciarrino, commissionata dall’Accademia Chigiana stessa, viene ben quarantasette anni dopo la prima serie dei suoi Capricci, dedicati a Salvatore Accardo, altro docente chigiano, che li eseguì al festival senese del 1976. Dunque a Siena è legata la nascita di queste due opere fondamentali per il violino e per la musica contemporanea in generale: lo si può già affermare con certezza a proposito della prima raccolta e si può facilmente prevedere che presto lo si potrà ripetere anche per la seconda.

Queste due serie di Capricci, simili e allo stesso diverse, si basano entrambe sull’esplorazione degli infiniti suoni che nemmeno si sospettava potessero nascondersi in quel piccolo e antico strumento. Sciarrino li va a scoprire soprattutto nelle tessiture estreme, negli armonici, tra i microintervalli, in sovrapposizioni più che inusuali delle note, in un uso non ortodosso dell’arco e in tecniche esecutive non canoniche, che esigono dal violinista un ipervirtuosismo mai fine a se stesso e sempre in funzione della creazione di nuove sonorità. Questi suoni labili e inafferrabili, che spesso durano appena un istante, creano un pulviscolo sonoro, un fruscio, un cangiante alone timbrico, improvvisamente interrotto da sporadici squarci forte, affilati come lame. Sciarrino stesso ha scritto che «fondamentale è la tensione ai limiti della percezione auditiva, massimamente al limite di velocità» e che «si evidenzia […] una irriducibile esigenza a forzare ed estendere le umane facoltà»: questo vale per il violinista, chiamato a superare difficoltà tecniche impensabili, e anche al pubblico, che deve ascoltare con estrema concentrazione per non perdere nulla di questo sorprendente ed affascinante mondo sonoro tutto da scoprire. In occasione della prima assoluta i Sei Nuovi Capricci e un saluto hanno avuto una “sonificazione” da parte di Alvise Vidolin e di Marco Momi. Di quest’ultimo era la scenografica idea di appendere due violini e una viola a tre leggii disposti sul palco, che vibravano per simpatia, sollecitati dalle vibrazioni del violino di Gringolts: queste leggerissime vibrazioni non erano percepibili distintamente ma comunque qualcosa giungeva sicuramente all’orecchio e dava un suo contributo alle sonorità straordinarie di questi brani.

Dopo aver lasciato stupiti per tutto quel che è riuscito a fare nei venti minuti del pezzo di Sciarrino, Gringolts si è concesso un lungo e meritatissimo intervallo per riprendere fiato e poi ha ripreso il concerto con la appena poco meno impegnativa Sequenza VIII di Luciano Berio, dedicata a Carlo Chiarappa. Scritta nello stesso anno (1976) dei primi Capricci di Sciarrino ma da un compositore di una generazione più anziana, rivela da una parte un’attenzione relativamente minore all’ampliamento delle possibilità dello strumento ma dall’altra una forma più strutturata, che - riprendendo le parole di Berio stesso - «si appoggia costantemente su due note come in una Ciaccona […] un omaggio a quel culmine musicale che è la Ciaccona della Partita in Re minore di Johann Sebastian Bach, in cui storicamente coesistono tecniche violinistiche passate, presenti e future».  Ma può anche «essere ascoltata come uno sviluppo di gesti strumentali»: questo potrebbe avvicinarla ai Capricci sciarriniani, ma il violino di Berio ha sonorità corpose e materiche, non eteree ed iridescenti.

Ad aprire e chiudere il concerto erano Mozart e Schubert, rispettivamente con la Sonata n.34 in La maggiore K526 e con la Fantasia in Do maggiore op.159 D934, entrambe risalenti all’ultimo periodo della breve vita dei loro autori. La prima è fondamentale per il definitivo passaggio dalla vecchia Sonata preclassica per pianoforte con accompagnamento di violino (che spesso era ancora ad libitum!) alla Sonata classica con i due strumenti posti sullo stesso piano. Eppure non è molto amata né dagli esecutori né dal pubblico, quindi è rara nei programmi concertistici. Gringolts l’ha eseguita impeccabilmente, con suono purissimo e con fraseggio molto vario e raffinato, in dialogo con Arton Gerzenberg, che sedeva al fortepiano o pianoforte storico, che dir si voglia.

Ma in Schubert Gringolts è andato oltre la mera perfezione, rivelandoci che questa Fantasia - anch’essa non molto considerata da esecutori e pubblico – è un capolavoro degno di stare accanto alle opere somme degli ultimi anni di Schubert. Si alternano melodie liriche e sognanti, eleganti variazioni e passaggi virtuosistici e su tutto aleggiano evocative atmosfere romantiche, in cui - forse influenzati dalla nostra consapevolezza che Schubert era vicino al suo epilogo - si avverte una premonitoria nostalgia per la vita che sfugge e per l’inesorabile approssimarsi della fine. L’adozione di un pianoforte d’epoca ha contribuito indubbiamente non poco a riscoprire le giuste sonorità e a gli esatti equilibri tra i due strumenti.

Dunque Gringolts si è confermato un eccellente camerista, sensibile e raffinato, capace di rendere in modo ideale autori diversissimi sotto ogni aspetto, senza mai dare l’impressione di sovrapporre se stesso alla musica: immacolato ed elegante in Mozart, sensibile e vibratile in Schubert, virtuosistico e asciutto in Berio, semplicemente stupefacente e fantasmagorico in Sciarrino. Il pubblico non si stancava di ascoltare e di applaudire e ha ottenuto due meravigliosi bis, eseguiti da Gringolts con concentrazione e intensità totali, come se non avesse suonato per quasi due ore: il primo dei Phantasiestucke op.73 (originariamente per clarinetto) di Schumann e lo Scherzo dalla Sonata FAE di Brahms.

Su Archi Magazine di settembre-ottobre 2023 uscirà un'intervista di Mauro Mariani a Ilya Gringolts

 

Foto: Roberto Testi

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