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La violinista Francesca Bonaita e la pianista Saskia Giorgini alla riscoperta di Szymanowski

di Luca Segalla

In un interessante CD Brilliant le due musiciste italiane affrontano alcune rarità di Karol Szymanowski, tra cui i raffinatissimi Mythes.

Prima ancora di essere una violinista, la ventottenne Francesca Bonaita è un’appassionata di arte nelle sue varie forme - musica, letteratura, arti visive, danza - e vive quella delle note come un’esperienza immersiva, un viaggio in cui poter arrivare attraverso i suoni alla rappresentazione di un intero mondo. Con queste premesse il suo avvicinamento alla figura del pianista e compositore polacco Karol Szymanowski, il cui frutto è il CD realizzato insieme alla pianista Saskia Giorgini, altra musicista difficile da inquadrare nei luoghi comuni dello star system, appare un movimento naturalissimo, perché anche Szymanowski, gran viaggiatore e grande appassionato di letteratura, mitologia, viaggi e natura in una vera e propria bulimia di esperienze sia sensibili sia intellettuali e spirituali, è musicista poliedrico.

Il CD, pubblicato da Brilliant, raccoglie quasi tutte le composizioni per violino e pianoforte di Szymanowski, dalla solidità architettonica della giovanile Sonata in Re minore op.9, composta a 22 anni nel 1904 e ancora profondamente debitrice ai modelli di Brahms e di Franck, alle raffinate atmosfere timbriche e armoniche di Mythes del 1915, tre “poemi” ispirati alle storie della Fonte Aretusa, di Narciso e infine di Driade e Pan raccontate nelle Metamorfosi di Ovidio, passando per la sensualità dolce della Romance op.23 del 1910 e approdando, in conclusione, al virtuosismo delle trascrizioni per violino e pianoforte di tre dei Capricci paganiniani per violino solo (i nn. 20, 21 e 24), realizzate nel 1918. È un CD interessante per il repertorio e affascinante per l’approccio delle due interpreti, capaci di rendere molto bene le suggestioni timbriche della ricercata scrittura del compositore polacco, sospesa tra languori tardoromantici e una durezza armonica già tutta novecentesca, oltre a essere un CD curato nella veste grafica, di cui si è occupata personalmente Francesca Bonaita, autrice anche delle note del booklet, stese insieme a Saskia Giorgini.

Ne abbiamo parlato con la stessa violinista milanese, che si è perfezionata al Conservatorio della Svizzera Italiana a Lugano con Sergej Krylov e che ha da poco concluso un Master alla Folkwang Universität der Künste di Essen con Aleksei Semenenko.

Com’è avvenuto il suo incontro con Saskia Giorgini e come è nata l’idea del CD?
«È una collaborazione nata a distanza, attraverso l’ascolto delle nostre registrazioni e la visione dei nostri video. La stima reciproca creatasi nel tempo ha portato poi a questo CD, realizzato con prove sia a Milano, dove vivo io, sia a Vienna, dove vive Saskia. Abbiamo scelto Szymanowski perché la sua musica da camera è molto esigente per entrambi gli interpreti e quindi è in linea con la nostra idea di un camerismo basato su una collaborazione alla pari. Io in particolare volevo affrontare un percorso monografico battendo sentieri meno noti e Szymanowski, con la sua caleidoscopica personalità e la dimensione onirica e misteriosa ma al tempo stesso appassionata della sua musica, era una figura perfetta: insieme a Saskia Giorgini ho deciso di presentare una selezione di brani per violino e pianoforte composti tra il 1904 e il 1918, nella prima fase della sua carriera di compositore».

In questa prima fase ci sono comunque già dei capolavori, come i tre Mythes
«Sì, in queste pagine ci sono tanti elementi interessanti, perché Szymanowski aveva un’anima cosmopolita e raffinata, eclettica e coltissima. Ha saputo creare un linguaggio molto originale partendo da una profonda conoscenza dei modelli autoriali romantici, in particolare Chopin, Franck e Brahms, ma anche sollecitato dalle avanguardie novecentesche e dai loro esiti sperimentali - penso alla sua folgorazione per Petrouchka di Stravinsky e all’interesse per l’Impressionismo di Debussy e Ravel ma anche per la corrente espressionista di area austro-tedesca, quindi Schönberg, Webern e Berg. E poi ci sono le contaminazioni con la musica popolare, il tutto inserito in una ricerca di sonorità e di ritmi che portano in scena atmosfere mediterranee, elleniche e bizantine: questo lo rende un compositore che vale la pena riscoprire e far conoscere».

Ravel si esegue tantissimo, Stravinsky tantissimo, Debussy lo si esegue, si esegue Berg e si esegue anche Schönberg, mentre Szymanowski in questi decenni si è eseguito molto poco: perché secondo lei è rimasto nell’ombra, per lo meno in Italia?
«È in effetti una questione soprattutto italiana, perché della musica di Szymanowski esiste un corpus importante di registrazioni a cui ovviamente mi sono ispirata, ascoltando in particolare le registrazioni dei grandi della Scuola Russa a partire da Ojstrakh e da Stern. Non saprei dire perché in Italia, Paese al quale tra l’altro era legatissimo, sia stato così trascurato: forse c’è il timore per un linguaggio molto originale, che utilizza armonie ardite mescolando tonalità e politonalità, anche se proprio questo rende molto accattivante l’ascolto e nella sua musica le linee melodiche restano sempre molto riconoscibili, perché in Szymanowski le sperimentazioni si fondono con un cantabilità che è prova della sua adesione alle istanze tardoromantiche, soprattutto in queste pagine giovanili, come la Sonata op.9 dalla quale abbiamo voluto partire. Poi c’è un gusto per la ricerca di sonorità calde e appassionate che io definirei sinestesiche e impressionistiche, per esempio nei Mythes con la messa in scena di suoni di una natura primordiale e incontaminata, che passa anche attraverso scelte molto ardite come i suoni sovracuti e gli effetti di arco che ci danno la misura della sua contemporaneità oltre che rappresentare una sfida virtuosistica per l’esecutore».

Com’è la sua scrittura violinistica? Szymanowski, pianista di formazione, pensa prima al pianoforte e poi trasferisce le sue idee al violino oppure riesce a pensare violinisticamente fin dall’inizio? È una scrittura agevole o no?
«In realtà l’ho trovata una scrittura molto affine al mio modo di pensare la musica, forse perché condivido con Szymanowski l’amore per la Classicità, l’eclettismo, la volontà di allargare i propri orizzonti al di là del leggio e l’interesse per nuovi codici linguistici. Fin da giovanissima, del resto, io mi sono occupata del repertorio contemporaneo, quindi nuovi codici di espressione sono per me la norma, il mio pane quotidiano, possiamo dire. Forse l’ho trovato talmente interessante da non percepire la sua scrittura come scomoda per lo strumento, cosa che invece si avverte con altri compositori che non hanno davvero una dimestichezza con il violino, e probabilmente la cantabilità delle linee mi ha aiutato nel risolvere i passi più tecnici. Certo, è una scrittura se vogliamo dire anche effettistica, perché non è la singola nota a contare ma l’effetto dell’insieme, in particolare nei Mythes con l’uso abbondante di glissandi e di trilli, in cui più che alla precisione del dettaglio, che comunque in una registrazione è importante, bisogna badare all’effetto descrittivo generale. È una scrittura virtuosistica, ma di un virtuosismo non fine a se stesso, perché è il virtuosismo di un compositore che ha viaggiato molto e che vuole raccontare in musica le sue esperienze. Szymanowski è stato a Londra, a Parigi, negli Stati Uniti, in Grecia e in Africa. E poi nell’amatissima Italia, soprattutto in Sicilia: “se l’Italia non esistesse - scrisse una volta -  non esisterei nemmeno io”».

L’aspetto interessante è che nella sua musica queste molteplici suggestioni si armonizzano tra loro e non si ha mai l’impressione di qualcosa di artificioso…
«Certamente, perché Szymanowski riesce a unire tutto in un discorso unitario, creando, penso ancora ai Mythes, delle atmosfere liquide e aree, anche attraverso l’uso della politonalità e della modalità».

E la trascrizione dei tre Capricci di Paganini per violino e pianoforte? Mi sembra un’operazione molto insolita. Innanzitutto sono più facili o più difficili degli originali?
«Una trascrizione di questo genere ha i suoi pro e i suoi contro. Szymanowski li ha scritti all’inizio del 1918 per arricchire il repertorio del suo duo con il violinista Viktor Goldfeld. Assistiamo a una parafrasi, anzi a una trasfigurazione di questi tre Capricci, il cui testo resta pressoché identico a quello degli originali, pur con delle modifiche nella parte violinistica, in particolare nel Capriccio n.24, perché qui viene invertito l’ordine delle Variazioni e l’ultima Variazione è completamente cambiata. Diciamo che con queste trascrizioni crea un mondo molto personale, prendendosi la massima libertà espressiva e introducendo anche del materiale politonale in una scrittura che è virtuosistica per entrambi gli strumenti; inoltre il violino viene costretto a mantenere la sua rotta dalla maglia ritmica rappresentata dal pianoforte, una maglia molto più stretta di quanto non avvenga con gli originali per violino solo».

Il discorso musicale - penso alla trascrizione del Capriccio n.24 - non corre il rischio di risultare un po’ appesantito?
«In realtà trovo questa trascrizione per violino e pianoforte estremamente interessante, soprattutto nel paragone con l’originale per violino solo, perché ci offre un’immagine della partitura da una prospettiva diversa».

Come reagisce il pubblico alla musica di Szymanowski, in particolare il pubblico italiano, che la conosce meno?
«Sicuramente ci vuole un ascolto attento e anche razionale, vista la densità anche intellettuale della sua musica, ma penso che per il pubblico ci siano molti spunti di riflessione: il paragone può essere ardito, però per me Szymanowski è uno di quei compositori così prismatici che permette a ciascuno, un po’ come Dino Buzzati in letteratura, di trovare la sua chiave di lettura. Questo vale anche per il mio CD: la complessità intellettuale della sua musica non credo tolga potenza all’impatto emotivo. Le trascrizioni dei Capricci di Paganini vengono sempre accolte con grande entusiasmo e così la Sonata op.9, e ho sempre avvertito grande calore da parte del pubblico, sia quando l’ho suonato in Germania sia in Italia».

A quando risale il suo interesse per la musica di Szymanowski?
«Risale a diversi anni fa, quando in vari concorsi violinistici internazionali ho presentato il Notturno e Tarantella, ottenendo sempre successo sia con le giurie sia con il pubblico. È un brano che ha acceso dentro di me la fiammella che mi ha spinto a scoprire di più di questo compositore: in questa registrazione non è compreso, ma farà parte di una registrazione futura. Adesso ho studiato il Concerto per violino n.1 e sono in attesa di avere l’occasione per poter debuttare in pubblico con questo lavoro».

Altri progetti discografici in cantiere?
«Un CD monografico dedicato all’opera del contemporaneo Fabio Vacchi che si intitolerà “Natura naturans” come il Concerto per violino di Vacchi, che proporrò in una versione inedita per violino e pianoforte con la pianista Anastasia Stovbyr. Accanto al Concerto ci saranno alcuni brani per violino solo: Respiri, Sonatina III, Presto, Da boschi e prati. Dopo Vacchi farò una registrazione dedicata al repertorio di Fritz Kreisler, che è uno dei miei musicisti di riferimento. Per me esistono due tipi di musicisti e di violinisti, il violinista che impiega la propria vita a cristallizzare una versione interpretativa del repertorio portandola a un grado sempre maggiore di perfezione e il violinista che ha una metamorfosi nel tempo, come Kreisler: ascoltando le sue registrazioni nel corso degli anni si avvertono grandi ripensamenti e una consapevolezza artistica diversa, la quale poi si traduce anche in scelte interpretative diverse».

Con Fritz Kreisler siamo ancora nel primo Novecento di Szymanowski: è un periodo che la attrae molto…
«Sì, perché è un periodo culturalmente molto florido e perché i compositori di quel periodo vivono una vera e propria lacerazione, legata anche ai grandi drammi storici come la Prima guerra mondiale. Certo, ho in progetto di dedicarmi anche alla musica barocca e alla musica contemporanea, ma la mia predilezione va al Novecento storico e all’epoca Tardo-Romantica, in particolare all’area russa e mitteleuropea».

Quali sono i docenti ai quali deve di più nel suo percorso di formazione?
«Prima di tutto Sergej Krylov, che seguo da quando avevo 13 anni e che ha lavorato con me soprattutto sulla tecnica, finissima, intensa e studiata in ogni dettaglio, una tecnica che non è mai fine a sé stessa ed è solo il punto di partenza per esprimere ciò che la propria interiorità vuole poi raccontare. Poi Dmitri Chichlov, un finissimo violinista, capace sia di motivare sia di aggiustare con pazienza tutti i meccanismi dell’orologio-violino, quindi Aleksey Semenenko, un violinista straordinario per la tecnica e la cura del dettaglio, e Andrey Baranov, violinista di altrettanta strabiliante tecnica e sensibilità artistica, con cui studio all’Accademia del Ridotto a Stradella e infine Salvatore Accardo, con il quale ho studiato per ben sei anni accademici alla “Stauffer” di Cremona, a partire dal 2014. Il Maestro, di cui ho seguito per anni anche i corsi estivi all’Accademia Chigiana, lavorando sul rigore di fronte alla partitura e sulla capacità di ascolto, mi ha dato molta fiducia e mi ha permesso di esibirmi ai concerti degli allievi selezionati ogni anno al Teatro Ponchielli di Cremona, esperienze di grande formazione artistica e personale».

Poco fa lei si è spostata dalla musica alla letteratura, citandomi Dino Buzzati, e credo non sia un caso, visto che è anche autrice di un saggio, La musica, Orfeo, Euridice: il mitema e l’adeguamento al contemporaneo, pubblicato da Virginio Cremona Editore. Ce ne vuole parlare?
«È un progetto che ha preso corpo con il tempo, fin da quando frequentavo il Liceo Classico e poi negli anni dell’Università. Avevo già scritto vari articoli sulle figure femminili nel mondo della musica e la prima idea del libro è stata quella di unire tutte queste storie, poi invece ho preferito indagare i molteplici aspetti del mito di Orfeo ed Euridice e delle sue varianti, sia in ambito musicale sia in ambito letterario, in particolare nella letteratura italiana novecentesca, da Buzzati a Magris. Il progetto ha preso definitivamente corpo durante la prima quarantena, e rappresenta il mio modo di essere musicista, perché oltre alla musica ho sempre avuto altri interessi, dal mito alla danza fino agli sport: ho sempre avuto la necessità di guardare oltre il leggio e di ampliare i miei orizzonti, per quanto naturalmente le ore trascorse al leggio siano tantissime».

Quali saranno i suoi prossimi impegni in sala da concerto?
«A febbraio sarò in tournée con l’Accademia dei Cameristi di Bari a Bucarest e a Vienna in formazione di trio e di quartetto, il 9 marzo affronterò alla Corte dei Miracoli di Milano la Sequenza n.VIII di Berio nell’ambito della rassegna dedicata all’integrale delle Sequenze del compositore ligure e poi ci sarà una serie di concerti in Lituania, Polonia e nelle capitali baltiche con programmi per violino e pianoforte dedicati a Szymanowski e ai suoi rapporti con la cultura italiana e romantica».

Fotografie Saskia Giorgini – Francesca Bonaita : Carlo Furgeri Gilbert
Fotografia di Karol Szymanowski: George Granthem Bain Collection/ Library of Congress, Washington, D.C.