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Il bisbiglio come principio: il Quartetto Leonkoro alla Casa della cultura “Waltherhaus” di Bolzano

di Johannes Streicher 

In collaborazione con la Società Filarmonica di Trento la Società dei Concerti di Bolzano ha invitato il Quartetto Leonkoro in apertura dello scorcio di stagione autunnale. Fondato a Berlino nel 2019, è formato da due fratelli (Jonathan Schwarz, primo violino, e Lukas Schwarz al violoncello) e da due giovani ragazze, la tedesca Amelie Wallner al secondo violino e la giapponese Mayu Konoe alla viola. Il livello tecnico e musicale dei magnifici quattro – che prendono il nome da un’espressione in esperanto (Leonkoro sta per Löwenherz, cuor di leone), la quale allude a un libro per bambini della svedese Astrid Lindgren, con protagonisti due fratelli – è inimmaginabilmente alto, e il loro curriculum di tutto rispetto, che vanta in primis la vittoria ai concorsi della Wigmore Hall di Londra e di Bordeaux nel 2022, viene confermato da un’impressione dal vivo di primissimo ordine.

Curiosamente i responsabili della stagione bolzanina hanno deciso di far svolgere il concerto non nella sede consueta del Conservatorio in Piazza Domenicani, bensì nella (brutta) Casa della cultura intitolata a Walther von der Vogelweide, un misfatto architettonico del 1967 privo della benché minima briciola di atmosfera, dotata in compenso di un’acustica notevole; ma oltre a far accomodare il quartetto sul palcoscenico (accomodare per modo di dire, dato che era seduto il solo violoncellista…), vi hanno fatto salire anche tutto il pubblico, disposto in un quadrato attorno ai musicisti, formato da tre o quattro file di sedie per lato. Così era garantita un’atmosfera intima veramente adatta alla musica da camera, perché ci si poteva illudere di trovarsi in mezzo a un salotto, a contatto ravvicinatissimo con i musicisti, che dopo l’intervallo hanno cambiato posizione, di modo che voltassero le spalle a quella parte di pubblico che dapprima li aveva visti di fronte.

Il programma iniziava con il Quartetto op.50 n.5 di Haydn, in cui fin da subito risaltava una concezione di suono oltremodo delicata e assai ricercata, che non andava tuttavia a scapito del Witz di Haydn, profuso a piene mani; le raffinate figurazioni del primo violino, cesellate con dolcezza nell’elysium del Poco Adagio, gli unisoni perfetti all’inizio del Trio del Minuetto, reso tutto in punto di penna, fino agli scarti dinamici più decisi del Finale, hanno lasciato intravedere un’idea di Settecento decisamente moderna, conscia di tutta l’attuale carica di convinzioni dovute alla cosiddetta prassi esecutiva storicamente informata, senza perciò rinunciare a un suono bello e tondo, vivo e vario.

Nella Lyrische Suite di Alban Berg, posta al centro della serata, si è posto l’accento (o anzi no, si è evitato di porre accenti eccessivi) sulle dinamiche al limite dell’udibile, sui momenti misteriosi e fantasmagorici (esemplare l’Allegro misterioso), sui pizzicati rivelatori, sui portamenti da antologia, sulla leggerezza dei colpi d’arco, che a quel livello di perfezione sono raggiungibili solo da dei musicisti di classe superlativa, forti non solo di un invidiabile bagaglio tecnico, ma dotati di un buon gusto che al giorno d’oggi è sempre più raro. Le sonorità-tipo dei Leonkoro non sono così acuminate, per dire, come quelle dei LaSalle, ma con tutta la loro giusta dose di tensione (in Berg, talvolta inclinata allo spasimo) hanno una componente soffice che induceva a porre un legittimo dubbio sulla loro origine: saranno poi davvero di Berlino, oppure vi è quel quid di viennese che amiamo non solo nei Quartetti Amadeus e Alban Berg, bensì anche nell’elegante violinismo della primaria del Quartetto Minetti? In effetti si sono formati a Lubecca, ma anche a Madrid, e proprio con Günter Pichler…

La seconda parte del concerto era dedicata al Quartetto in mi minore op.44 n.2 di Mendelssohn, reso con un misto di grazia degli elfi (lo Scherzo rientra perfettamente in quella categoria coniata e poi sempre più perfezionata da Felix) e di grande passione romantica (in particolare nel quarto tempo), tenuta però a freno da un innato senso di misura proprio dei Leonkoro, anch’esso perfettamente corrispondente all’anima dell’autore amburgo-berlinese prescelto dai nostri.

Se proprio vogliamo trovare un pelo nell’uovo – di rara perfezione formale – dei Leonkoro, si potrebbe obiettare che forse il bisbiglio innalzato a principio non può coprire tutta la gamma delle possibilità foniche: ogni tanto avrei desiderato, lo confesso, un sano fortissimo con quattro f, ma mi rendo conto che dinanzi al mondo sonoro incredibilmente raffinato del Leonkoro-Quartett questo mio pensiero profano può risultare solo banale…

Infine, ci è stato concesso un bis italiano: Crisantemi, eseguiti con l’ormai consueto senso della misura e della dimensione intima connaturato ai Leonkoro. Ma forse talvolta si dovrebbero ricordare del loro cuor di leone, specie se si accingono a interpretare Puccini – i Crisantemi sono pur sempre vicini a Manon Lescaut, che è il Tristano italiano…  

 

Società dei Concerti di Bolzano
Casa della cultura “Waltherhaus” di Bolzano
16 ottobre 2024