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Il Brahms concentrato e profondo di Khachatryan a Santa Cecilia

di Mauro Mariani

Sergey Khachatryan ha fatto il suo debutto all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nel 2008 a poco più di vent’anni, sull’onda deia successi in importanti concorsi internazionali, e vi è tornato nel 2021, eseguendo il Concerto in Re maggiore op.77 per violino e orchestra di Brahms in maniera assolutamente splendida, tanto che lo si è richiamato ora per eseguirlo di nuovo nei tre turni di abbonamento della stagione sinfonica romana e in una tournée lampo al Lingotto di Torino.

Dal podio Myung-Whun Chung ha introdotto con una certa grandiosa magnificenza unita a grande tensione l’entrata in scena del solista nel concerto brahmsiano, che è avvenuta con una decisione e – direi – un’imperiosità che ricordavano i violinisti della grande scuola russa d’un tempo. Ma subito dopo emergeva chiaramente l’approccio personale di Khachatryan, che, nonostante il suo aspetto ancora estremamente giovanile, è alla soglia dei quarant’anni e ha ormai raggiunto una grande maturità d’interprete, che gli permette di affermare con pienezza e convinzione ancora maggiori di quattro anni fa la sua personale (ma tutt’altro che arbitraria) interpretazione di questo Concerto, di cui mette in rilievo i momenti intimi, assorti e totalmente e stupendamente lirici, ribaltando così le interpretazioni tradizionali, che tendono a considerare i momenti più energici i veri pilastri del primo movimento e a ridurre quelli delicati e raccolti alla funzione di semplici seppur incantevoli intermezzi.

Un’interpretazione così concentrata e profonda, così emozionata ed emozionante non può essere un espediente per mascherare il suono non molto potente del suo violino, ma certamente neppure debole, se è in grado di riempire l’enorme Sala Santa Cecilia durante l’ampia Cadenza (era quella tradizionale di Joseph Joachim). Ammesso e non concesso che il volume sia un suo limite, Khachatryan lo compensa ad abundantiam con le altre qualità del suo suono, sempre puro, limpido e perfettamente controllato, con poco vibrato e privo di ogni asprezza e forzatura. Non so quale ispirazione mi ha spinto a cercare in internet quale fosse il suo violino e sono rimasto folgorato: è il Guarneri “Ysaÿe”, suonato per trent’anni da Isaac Stern, un grande violinista del recente passato che può ricordare Khachatryan per la dolcezza, la luminosità, la purezza e anche per il volume piuttosto contenuto; ma il suono del violinista ebreo-ucraino-americano era più sensuale, mentre quello dell’armeno-tedesco potrebbe essere definito - in mancanza di altri aggettivi - immateriale.

Centellinato con delicatezza cameristica, l’Adagio centrale era un momento di magica sospensione, leggermente malinconico e allo stesso tempo di purissima e incontaminata bellezza, che tagliava ogni legame con il mondo materiale e ci immergeva in un’esperienza puramente spirituale. Si poteva prevedere che l’esuberante movimento finale fosse meno nelle corde di Khachatryan, che invece ne ha offerto un’esecuzione di gran classe, elegante e allo stesso tempo travolgente. Alla fine il pubblico gli ha tributato un successo entusiastico e Khachatryan ha ringraziato con un bis, la Sarabanda della Partita n.2 di Bach (ci riferiamo al concerto del 9 gennaio).

Il vigore che Chung dava ai non molti momenti del Concerto brahmsiano in cui l’orchestra è unica protagonista, lasciava capire che il direttore coreano propendeva per un’interpretazione più energica di quella di Khachatryan, tuttavia nei momenti - e sono la maggioranza - in cui violino e orchestra devono dialogare, si è messo a disposizione del solista, cercando e ottenendo l’accordo e l’equilibrio più totali, grazie anche al contributo eccellente dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia e in particolare delle sue prime parti. La seconda metà del concerto era dedicata alla Sinfonia n. 7 in la maggiore op.92 di Beethoven, in cui Chung era libero di affermare le sue dinamiche vigorose e i suoi tempi rapidi, ma sempre all’insegna di un perfetto controllo e di un equilibrio rigoroso, meritando totalmente il lungo applauso tributatogli dagli ascoltatori che esaurivano ogni posto della vasta sala.

Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Auditorium Parco della Musica, Roma
9 gennaio 2025

Fotografie: © Musacchio & Pasqualini / MUSA