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Incontro tra diversità: Martucci e Wolf-Ferrari con il Quartetto Guadagnini ed Enrico Pace

di Stefano Crise

All’interno della rassegna Cromatismi 4.0, promossa dall’Associazione Chamber Music di Trieste sotto la direzione artistica di Fedra Florit, il concerto del 16 aprile, nel capoluogo friulano, ha offerto un’occasione preziosa per riscoprire due pagine importanti della rinascita della musica strumentale italiana a cavallo tra Otto e Novecento: il Quintetto in Do maggiore op. 45 di Giuseppe Martucci e il Quintetto in Re bemolle maggiore op. 6 di Ermanno Wolf-Ferrari. Due opere lontane per stile e contesto, ma accomunate dalla medesima tensione emancipatrice nei confronti di una tradizione musicale nazionale dominata dall’opera lirica. Affidate all’interpretazione del Quartetto Guadagnini e di Enrico Pace, queste composizioni sono state restituite con chiarezza analitica e senso narrativo, offrendo un confronto vivo e consapevole tra gli interpreti.

Eraclito di Efeso affermava in un suo frammento: «Ciò che è in opposizione si accorda, e dai discordi nasce l’armonia più bella». È forse questa dialettica tra opposti a offrire la chiave di lettura più efficace per comprendere l’incontro musicale avvenuto sul palco del Teatro Miela. Da una parte, Enrico Pace, pianista di lungo corso, ha proposto un’interpretazione carica di energia comunicativa, controllata da un perfezionismo quasi maniacale: un suono franco, preciso, estroverso, affrontato con slancio e naturalezza da artista completo qual egli è. Dall’altra, il Quartetto Guadagnini, ensemble formato da giovani ma già maturi musicisti, forti di tredici anni di attività assieme e di importanti collaborazioni internazionali, ha offerto un modello di coesione timbrica e di profonda intesa esecutiva.

L’esito di questo incontro è stato un’integrazione ricca di interessanti sorprese: le differenze hanno generato arricchimento e fantasia, facendo emergere un’esecuzione originale, intensa, ammantata da una tensione febbrile costruita su un ascolto reciproco costante. La sensazione iniziale di una cauta osservazione tra due identità interpretative distinte, ben presto si è delineata con una precisa adesione alla cifra espressiva imposta dal pianoforte, cui il quartetto ha risposto con una cantabilità partecipe e una vitalità condivisa. Si è creata così un’interazione che ha trasformato il quintetto in una sorta di “duo allargato”, in cui individualità e collettivo hanno agito con eguale consapevolezza.

Il programma, inconsueto e di particolare interesse per il pubblico più curioso, è stato aperto dal Quintetto in Do maggiore op. 45 di Martucci (1878) che rappresenta una delle tappe di rifondazione linguistica perseguita dal compositore ispirata alla grande tradizione cameristica austro-tedesca. La forma-Sonata ne costituisce l’ossatura, ma è declinata da un lirismo che richiama certe densità wagneriane e, ancor più, il calore ombroso del Brahms maturo. Il primo movimento (Allegro giusto), in forma bipartita, oppone un tema iniziale vigoroso a uno, più lirico e raccolto, affidato agli archi. L’interpretazione ha reso con chiarezza la contrapposizione tematica, mantenendo intatta la tensione anche nelle transizioni più fluide. Il secondo tempo (Andante con moto), baricentro espressivo della partitura, esplora un sentimento più intimo, reso complesso da una scrittura armonicamente più audace, pur sempre saldamente tonale. Gli interpreti hanno saputo valorizzarne i chiaroscuri e l’ampio respiro melodico, evitando ogni retorica. Lo Scherzo, in 6/8, capriccioso e irrequieto, è stato eseguito con leggerezza calibrata e cura per l’intenso gioco tra momenti vigorosi e reminiscenze liriche, mentre il Finale (Allegro risoluto) ha brillato per energia e chiarezza architettonica. La circolarità tematica, tra i tratti distintivi di questo movimento, è emersa con coerenza e naturalezza.

Di tutt’altro respiro il Quintetto in Re bemolle op. 6 di Wolf-Ferrari, composto tra il 1900 e il 1901 e rimaneggiato fino al 1939. Opera giovanile per ispirazione ma matura nella forma, è una felice sintesi tra classicismo e modernità timbrica. Se Martucci guarda a Brahms con intensità drammatica, Wolf-Ferrari costruisce un linguaggio più trasparente, che affonda le radici nella cultura musicale tedesca ma guarda anche a suggestioni della musica francese per la cura del dettaglio e la delicatezza timbrica. Qui il pianoforte non ha un ruolo predominante: si integra nel tessuto cameristico come voce propria, talvolta quasi orchestrale, anche se, in questa lettura, l’estroversione di Pace ha scelto di riportare spesso lo strumento in primo piano. Il primo movimento (Tranquillo ed espressivo) si apre con una linea melodica limpida e intensa, sostenuta da un’armonia fluida: il Quartetto Guadagnini ha cesellato il fraseggio, dialogando con il pianoforte in un equilibrio consapevole. La Canzone centrale è stata resa con morbidezza e senso della sospensione: la melodia, quasi fluttuante su accordi evanescenti, ha trovato negli interpreti una resa esplicita ed elegante. Il Capriccio, più frammentato e incalzante, ha richiesto un’articolazione ritmica brillante e un’intesa incessante tra gli strumenti, ben risolto grazie alla professionalità del gruppo. Il Finale, infine, ha chiuso il lavoro con brio, lasciando emergere il carattere più deciso della scrittura pianistica.

Il confronto tra i due Quintetti ha consentito di apprezzare due vie distinte nella musica da camera italiana tra Otto e Novecento: da un lato, la compattezza costruttiva di Martucci, dall’altro, la leggerezza riflessiva di Wolf-Ferrari, capace di fondere idiomi germanici e suggestioni francesi con semplicità. Il primo, solenne e meditativo, ha trovato negli interpreti un equilibrio efficace tra energia e controllo, il secondo, più intimo e leggero, ha beneficiato di una lettura cameristica partecipe.

Un concerto di rilievo, insomma, non solo per l’alta qualità esecutiva, ma per la capacità di accendere l’interesse verso un repertorio troppo spesso trascurato. L’“intesa nelle differenze” tra Enrico Pace e il Quartetto Guadagnini ha confermato la profondità di un progetto interpretativo condiviso, mentre l’Associazione Chamber Music, con la rassegna Cromatismi 4.0, si è confermata come una delle realtà più attente e colte del panorama nazionale nella valorizzazione della musica da camera, anche nei suoi percorsi meno frequentati.


Fotografie: © ACM - Chamber Music Trieste