Vittorio Ghielmi: l'Italia vista da fuori
Violista da gamba, direttore e compositore, Vittorio Ghielmi è il direttore dell’Institut für Alte Musik e Professore di Viola da Gamba al Mozarteum di Salisburgo e Visiting Professor al Royal College of Music di Londra; ha tenuto masterclass alla Juilliard School di New York, all’Accademia Chigiana di Siena e al Conservatoire Royale di Bruxelles. Il suo ensemble Il Suonar Parlante Orchestra, fondato nel 2007 con la cantante argentina Graciela Gibelli, è invitato in tutto il mondo. Dottore in Lettere presso l’Università Cattolica di Milano, si dedica da sempre anche alla ricerca musicologica. In quest'intervista racconta la sua esperienza di musicista italiano all'estero: dal 2014 vive infatti in Austria.
Quale motivo l’ha spinta a lasciare l’Italia?
«Motivi esclusivamente professionali. Innanzitutto l’offerta di lavoro in una delle più prestigiose istituzioni musicali del mondo, l’Universität Mozarteum di Salisburgo, dove ho preso la Cattedra di Viola da Gamba nel 2012 e dove ora dirigo il Dipartimento di Musica Antica, che ha avuto uno sviluppo molto importante ed ottenuto una visibilità europea grazie alla recente acquisizione di un corpo docenti d’eccezione. Da quest’anno abbiamo anche stabilito una preziosa collaborazione con l’Accademia Chigiana di Siena, cosa che, con grandissimo piacere, potrà riportare parte del nostro lavoro in Italia».
È stato difficile ambientarsi?
«Professionalmente non direi. Anzi la vita di un musicista è notevolmente più facile in questi Paesi che in Italia. La “burocrazia“ italiana e la mancanza di una diffusa cultura musicale rendono estremamente farraginose le attività dei musicisti nel nostro Paese (un peccato poiché resta una nazione che è altrimenti dotata di un talento diffuso e prepotente...). Dal punto di vista umano (e famigliare) naturalmente i primi anni non sono stati facili, anche per motivi linguistici. (Parlo ovviamente della situazione prima del 2020. Ora vedremo dove le politiche che hanno negli ultimi due anni così pesantemente penalizzato i musicisti vorranno portarci...)».
Quali sono le principali differenze che nota nel suo lavoro tra l’Italia e il Paese in cui vive?
«L’Austria è un Paese piccolo e assai ricco, sebbene chiuso per certi versi. Il sistema di assistenza agli studi, alla scuola, il fisco etc. funzionano in modo abbastanza rapido ed efficiente. L’istruzione musicale è diffusissima e quasi gratuita, anche a livello universitario. La mia orchestra (Il Suonar Parlante) ad esempio, che per anni è stata “frenata” in Italia da migliaia di scomode situazioni burocratiche, ha potuto qui in pochi giorni trasformarsi in un’agile associazione e lavorare efficientemente senza spreco di energie. Inoltre la figura del musicista è assai rispettata. La professionalità di un musicista è riconosciuta come quella di un ingegnere o medico. In Italia, sotto sotto, rimane il pregiudizio che questo non sia un vero mestiere. L’artista è visto comunque come una strana eccezione, più o meno socialmente accettabile. È molto buffo perché se penso ai miei coetanei ed amici cresciuti con me in Italia, quelli che hanno scelto le carriere artistiche hanno fatto molta più strada di coloro che hanno scelto lavori “normali”. Un pregiudizio... come tanti».
Consiglierebbe ai giovani colleghi italiani di andare a vivere all’estero?
«Difficile dirlo. Consiglio di andare a studiare con i migliori insegnanti. Dovunque essi siano. Il musicista è un cittadino del mondo. Ogni posto dove incontri delle belle persone che possono darti o ricevere qualcosa da te può essere la tua casa. Sicuramente trascorrere almeno un periodo nei centri musicali importanti, in Germania, in Francia, in Russia, in Olanda o qui in Austria può aprire la mente. Poi è innegabile che mediamente il lavoro si trova più facilmente che in Italia. Tuttavia non sono un fan dell’“estero a tutti i costi”. Credo che se una persona non si lascia abbattere dalle situazioni difficili, ha un progetto e del talento, può creare delle realtà bellissime in qualsiasi Paese. Ho tanti colleghi bravissimi che hanno fatto la loro carriera quasi solamente in Italia e possono essere validi esempi».
Cosa le manca dell’Italia?
«La gente. La plasticità della nostra mentalità. L’adattabilità e sveltezza che ci ha regalato, con sofferenza, la nostra storia. L’avere dovuto sopravvivere a mille dominazioni straniere, dittature, difficoltà e corruzione, ha dato al nostro popolo un senso delle cose, della realtà, un misto di intelligenza, rassegnazione e generosità, furbizia ed onestà che è unico al mondo. Vorrei che questo non lo perdessimo mai ma che lo usassimo per costruire un Paese migliore. Un Paese basato, come sempre è stato, sulle differenze regionali, la decentralizzazione e la varietà. Siamo sempre e comunque nelle mani dei giovani... speriamo che colgano i veri valori della nostra multietnicità permanente. Manchiamo di scuole ma abbiamo i migliori musicisti del mondo, che occupano i primi leggii delle orchestre di mezza Europa. Non è un miracolo?».
E cosa invece apprezza di più del Paese che la ospita?
«Il paesaggio, il rispetto del territorio, l’amore incondizionato per la musica. Il fatto che la gente è legata “alla terra”. Questo può avere naturalmente un risvolto a volte “conservatore”, un po’ duro da digerire per lo straniero appena arrivato, tuttavia se si supera questo scoglio comunicativo si capisce che i popoli che rispettano la propria terra (nel senso più semplice e materiale possibile) mantengono un’integrità ammirevole».
Se tornasse indietro rifarebbe la stessa scelta?
«Sono cittadino del mondo. Sì, la rifarei. Ma non è detto che domani non parta di nuovo, se la situazione lo richiedesse... anche se traslocare 100 casse di libri e tutti gli strumenti è maledettamente faticoso. Mia moglie è argentina. Soprano. Ha viaggiato più di me... Cerchiamo di crescere le nostre figlie nei luoghi dove è possibile far fiorire l’arte e la comunicazione vera e profonda tra le persone. La nostra porta è sempre aperta e le nostre figlie parlano cinque lingue. È questo che vogliamo trasmettere loro, come alle centinaia di giovani con cui entriamo in contatto: tenere le porte aperte».
Pensa di tornare un giorno in Italia?
«Vedremo cosa la vita ci porterà. Mi manca solo una cosa tantissimo (ma anche a Milano dove sono cresciuto non l’avevo): il mare!».
Intervista di Silvia Mancini uscita per "Fuori con la Musica" su Archi Magazine n.93 di gennaio-febbraio 2022