Anastasiya Petryshak: vi presento il mio “angelo terribile”, portatore di mistero
di Lorenzo Montanaro
La violinista si racconta in occasione dell’uscita del suo secondo disco, dedicato al Novecento francese. Ecco l'intervista uscita su ARCHI magazine di marzo-aprile 2023, qui in versione originale e integrale.
Partirei proprio dal disco, Ange Terrible. Debussy, Ravel, Messiaen: pagine di straordinaria sensibilità, complessità e raffinatezza. Che cosa l’ha attratta in questo repertorio? E come ha scelto di approcciarlo?
«Questo repertorio mi ha accompagnata per moltissimi anni. Sono cresciuta con la musica dei grandi Debussy, Ravel e Messiaen. Da quando li ho aggiunti al mio repertorio non posso farne a meno. Ho sempre amato il fascino della musica francese, in particolare quella del Novecento che è così ricca dal punto di vista musicale, ritmico e armonico, piena di innovazioni che danno la possibilità di esplorare e ricercare un'infinità di nuances dinamiche e timbriche.
La volontà di registrare queste opere è stata ancora più forte dopo aver conosciuto mio marito, Edouard Hurstel, che è di origine francese. Edouard è stato un compagno presente in questo viaggio musicale. Ad affinare la mia interpretazione è stato di aiuto capire a fondo la mentalità, la tradizione e la musicalità della lingua francese. Per poter mettere tutto in prospettiva e dare un'interpretazione più mirata è stato importante tenere in considerazione anche la storia, i vari libri di quel periodo ed i viaggi che abbiamo fatto per visitare i luoghi dove i compositori hanno vissuto e composto. Non dimenticherò mai la casa di Ravel che abbiamo visitato a Montfort l’Amaury: visitandola si può capire così tanto della persona, del suo stile di vita e carattere, tutte cose che sono rispecchiate nella sua musica. Si tratta di "chiavi" aggiuntive alla preparazione tecnica e strumentale che possono aprire la mente, stimolare la fantasia e l'immaginazione e guidare verso un'interpretazione più matura e ricca dal punto di vista artistico».
Ange Terrible è titolo affascinante, come lo sono i contrasti. Perché lo ha scelto?
«Credo fortemente che la musica ci colleghi con qualcosa di più grande di noi, quella realtà misteriosa che illumina le nostre vite ma talvolta può risultare oscura e suscitare timore. L'intenzione era quella di dare un titolo che possa far riflettere e lasciare spazio all'interpretazione.
Spesso mi hanno paragonata ad un angelo. Mi piace pensare che gli artisti siano degli angeli che portano messaggi in questo mondo. Con questo disco volevo mostrare un'Anastasiya in modo più completo ed evidenziare non solo la parte “angelica”, pura, dolce e sensibile ma anche quella “terribile”, testarda, forte e passionale. Non si può apprezzare la luce senza il buio, il giorno senza la notte. Il mondo è pieno di contraddizioni e contrasti, del bene e del male.
Siamo abituati a vedere gli angeli come creature soavi e delicate ma ci dimentichiamo che sono anche estremamente forti, mesaggeri che portano non solo annunci belli ma anche quelli più terribili. Per esempio Messiaen apre la partitura del Quatuor pour la fin du temps con una citazione riguardo ad Apocalisse, parla di un angelo molto forte che ha la responsabilità di annunciare la fine dei tempi. La meravigliosa Louange a l’immortalité di Jesus, che chiude il disco infatti, è musica che ci collega con l’eterno e con l’infinito. Anche questa opera evidenzia il gande contrasto tra la terribile realtà che circondava Messiaen e la musica che compose piena di luce, calore, bontà e amore».
Quella con il pianista Lorenzo Meo è una collaborazione consolidata. Che cosa sente di avere in comune con questo artista?
«Abbiamo in comune la volontà di lavorare senza sosta, di ricercare e di approfondire entrando sempre più in dettaglio nella musica che suoniamo. Trovo molto interessante analizzare i brani musicali insieme confrontandomi con Lorenzo che è anche un compositore.
La cosa che trovo importante sono le differenze. Perché solamente avendo esperienze e visioni diverse ci si può completare e raggiungere sempre obbiettivi nuovi».
Una curiosità, a proposito del Pezzo in forma di Habanera di Ravel, presente nel disco. Sul suo canale YouTube, che conta 114.000 iscritti, e sui suoi profili social, è stato lanciato un video, molto curato sul piano artistico, in cui compare anche la ballerina Lia Kemendi. È un progetto che a tratti fa pensare perfino a una “videoclip”, comune nel mondo pop, ma ancora poco diffuso in ambito classico. Quanto pensa che i nuovi linguaggi e le nuove tecnologie possano essere utili alla grande musica?
«Penso sia importante trovare la chiave giusta per il pubblico giovane in modo da poter offrire a loro anche la grande musica. Non si tratta quindi di cambiare la sostanza ma la presentazione. Sono una violinista classica e continuo a suonare la musica del grande repertorio classico con meticolosa cura e un forte rispetto per l'Urtext. Trovo molto importante rimanere fedeli al proprio percorso e alla musica classica senza sacrificare i propri valori solo per avere un successo veloce. Quello che penso vada cambiato quindi, non è il repertorio ma il modo di comunicare. Nel video ufficiale del disco, ho cercato di fare proprio questo. Si tratta di un prodotto artistico nel senso più ampio. Ho invitato la ballerina per evidenziare maggiormente l'aspetto della danza lenta e sensuale, l'Habanera.
Così come ho coinolto il body painter Guido Daniele per la copertina del disco. Abbiamo copiato dal manoscritto di Ravel alcune battute sulla mia pelle ed aggiunto delle ali per riprendere il discorso dell'angelo. Trovo interessante unire diversi tipi di arte che fortificano il messaggio».
E ora veniamo, più in generale, alla sua carriera. Se dovesse individuare tre momenti decisivi nel suo percorso musicale, quali sceglierebbe?
«Il primo direi il contratto discografico con Sony Classical. L'uscita del primo album "Amato Bene", incentrato interamente sulla musica di Vivaldi. Comprendeva le Quattro Stagioni ed altri due Concerti tra cui l'RV342, registrato per la prima volta nella storia. Avevo suonato sul meraviglioso Stradivari del 1690 "Il Toscano", insieme agli Archi dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia ed il Maestro Luigi Piovano.
Il secondo momento potrebbe essere quello delle ricerche scientifiche con il Politecnico di Milano e l’Università di Pavia. I risultati di queste ricerche sono pubblicati nelle diverse riviste del settore, libri sugli strumenti storici come quello sullo Stradivari "Cremonese" e utilizzati per conferenze europee e mondiali. Ho avuto modo di registrare quasi tutti gli strumenti della collezione del Museo Del Violino per questi progetti scientifici.
Il terzo momento è il più recente, il concerto in Polonia con la Royal Philharmonic Orchestra ed il Maestro Vasily Petrenko con il Primo Concerto di Max Bruch».
Lei è stata la più giovane violinista ammessa al corso di alto perfezionamento tenuto presso l’Accademia Stauffer da Salvatore Accardo. All’epoca lei aveva appena 15 anni. Che cosa ricorda di quell’incontro? E che cosa ha significato potersi perfezionare con un gigante come lui?
«Il Maestro Accardo è stato ed è tuttora un punto di riferimento nella mia vita musicale. Entrare nella classe del Maestro e studiare con lui per otto anni seguendolo anche ai corsi estivi della Chigiana è stato un sogno realizzato. Ricordo ancora quell'esame di ammissione: ero al settimo cielo quando scoprii di essere stata ammessa. Sono orgogliosa di fare parte della "famiglia Stauffer" e di continuare a partecipare a progetti importanti. Ho realizzato alcuni video presso la bellissima sala Stradivari subito dopo l'inaugurazione della nuova sede. A maggio abbiamo suonato le Otto Stagioni di Vivaldi e Piazzolla con alcune eccellenze artistiche dell'Accademia in Oman presso la Royal Opera House Muscat».
Oltre ad Accardo, quali altre personalità, nel mondo del violino (e non solo), ritiene l’abbiano aiutata di più a formare la sua sensibilità musicale?
«Tra i Maestri che hanno avuto più impatto sulla mia formazione posso ricordare Laura Gorna che mi è stata vicina negli anni difficili della mia vita. La sua forza d'animo e carattere mi hanno aiutata a fortificarmi quando ne avevo più bisogno.
Anche il Maestro Rudolf Koelman è sicuramente stato una guida importante. Essendo uno degli ultimi allievi di Jascha Heifetz è riuscito a trasmettermi anche il sapere del suo Maestro. Ho concluso sotto la sua guida il Master Soloist presso la prestigiosa ZHdK di Zurigo. Nel 2018, dopo l'uscita del mio primo CD ho fatto un tour con l'Orchestra di ZHdK ed il Maestro Koelman come Concertmeister. Un tour da ricordare».
Oggi lei è una concertista richiesta in Italia e all'estero. Vi sono luoghi, teatri e orchestre alle quali si sente particolarmente legata? Se sì, perché?
«Penso all'Orchestra Sinfonica della Filarmonica Nazionale dell'Ucraina con la quale ho avuto modo di suonare diverse volte. L'ultima occasione era proprio quella per i 30 anni dell'Indipendenza dell'Ucraina in agosto del 2021 in presenza delle personalità importanti tra cui il presidente ucraino Volodymyr Zelens'kyj. Avevo altri concerti in programma per il 2022, cancellati poi per via della guerra. Sento un legame forte con loro, forse per le memorie che rivivo della mia infanzia».
Preziosa e interessante è la collaborazione con la Fondazione Antonio Stradivari di Cremona, grazie alla quale ha potuto incontrare oltre 60 strumenti cremonesi antichi (Stradivari, Amati, Guarneri del Gesù), ciascuno con la sua personalità e la sua storia. Che cosa le ha dato questa esperienza e quanto ritiene sia stata importante per la sua carriera? C’è uno strumento che le è rimasto particolarmente nel cuore?
«Ho lavorato presso il Museo del Violino per diversi anni, avendo la fortuna di suonare regolarmente in concerto i loro preziosi strumenti. Esperienze che mi hanno insegnato molto facendomi crescere in modo più completo. Ho imparato l'importanza di ascoltare ogni strumento, capire i punti forti e quelli deboli ed instaurare un'amicizia con ciascn violino. Dobbiamo ricordare che questi strumenti storici, come Stradivari, Guarneri, Amati, hanno 300-400 anni di vita. Mettendo tutto in prospettiva possiamo dire che noi siamo di passaggio nel loro percorso e non viceversa. Trovo infatti importante usare la propria sensibilità per sentire cosa ci suggerisce ciascun strumento. Cerco sempre di tirare fuori dai violini tutto ciò che hanno accumulato negli anni, l'energia impressa nel legno di tutti quei violinisti che hanno passato ore e ore cercando un'idea musicale o un determinato suono, il repertorio che probabilmente molte mani hanno già eseguito prima ecc. Ogni strumento ha una storia che aspetta di essere sentita e liberata.
Il violino che mi è rimasto nel cuore è il "Cremonese" 1715 con il quale ho suonato presso la Sala Santa Cecilia al Parco della Musica a Roma. Si trattava di un concerto organizzato per festeggiare i 300 anni di questo violino. In quella occasione avevo scelto di dedicare una parte del programma a Brahms proprio perché uno dei possessori del "Cremonese" è stato Josef Joachim, uno dei violinisti più importanti e grande amico di questo immenso compositore».
A proposito di violini celebri, nel 2016 ha avuto la possibilità di suonare il "Cannone", lo strumento che più di ogni altro porta su di sé il segno di Niccolò Paganini. Come ricorda quell’incontro?
«Il "Cannone" è un violino davvero unico. Ricordo ancora i segni del grande virtuoso sullo strumento, il suo modo di suonare e di tenere il violino è rimasto impresso per sempre. Paganini ha suonato questo strumento circa una quarantina di anni e il suono di questo violino è stato praticamente formato da lui. Dalle prime note ho capito subito perché lo avesse chiamato il "Cannone", uno strumento che ha una grande potenza e proiezione sonora.
Su quel violino avevo suonato il Concerto n.1 di Paganini al Teatro Carlo Felice diretta dal Maestro Battistoni».
Se dovesse indicare un grande violinista del passato come suo modello, chi sceglierebbe?
«Direi David Oistrakh senza dubbi. Una musicalità di rara bellezza, tecnica brillante ma sempre al servizio della grande musica. Era proprio lui a dire che dobbiamo studiare ogni nota, ogni dettaglio per poi dimenticare. La libertà va guadagnata».
Da bambina, si è trasferita in Italia appunto per inseguire la sua grande passione per il violino e nutrire il suo enorme talento. Immagino, però, non sia stato semplice (nuova lingua, nuovo mondo, affetti lontani). Quanto le è pesato il distacco? E come si è sentita accolta dall’Italia?
«Nel 2004 ci siamo trasferiti con tutta la famiglia a Bologna. I miei genitori hanno fatto tanti sacrifici per i figli e non c'era un Paese migliore dell'Italia per la musica, l'arte e la cultura. L’impatto però fu problematico, all'epoca non avevo compreso tutte le ragioni e dopo un'estate a piangere senza sosta sono ritornata in Ucraina. Ho vissuto per un anno con la mia prima insegnante Marta Kalynchuk, con la quale con grande gioia ripresi le mie lezioni quotidiane, concerti e concorsi vari. I miei genitori mi hanno aspettata in Italia, dandomi il tempo per maturare l'idea e prepararmi. Dopo un anno ho preso la decisione di fare il grande passo a trasferirmi in Italia per sempre.
Non nascondo che ci sia stata freddezza e diffidenza, quando si è stranieri in un Paese nuovo bisogna sempre lavorare il doppio e dimostrare di più per essere accettati e rispettati».
Più volte ha scelto di suonare a sostegno di progetti sociali ed eventi di beneficienza. Che cosa hanno significato per lei queste esperienze? E quanto pensa che la musica possa essere d’aiuto per costruire una società migliore?
«Conosco le difficoltà ed i sacrifici che si incontrano durante la vita e quando ci sono delle occasioni nelle quali posso dare un contributo non mi tiro indietro. Ho partecipato a diversi progetti, gli ultimi sono stati per aiutare i bambini ucraini tenendo concerti negli Stati Uniti, in Spagna, in Francia e in Italia. Collaboro in particolare con la TulSun Foundation in Olanda e con la Carano4 Children Foundation in Belgio. Credo fortemente che la musica e l'arte in generale siano le fondamenta di una società basata sul rispetto, valori sani, dialogo ed empatia».
Infine, pensando alle sue origini ucraine, è impossibile non pensare all’anno appena trascorso, alla tragedia della guerra, alle enormi sofferenze che il suo popolo sta patendo. Come ha vissuto, da Ucraina, quest’ultimo anno?
«La notizia della guerra mi ha sconvolta molto. Siamo tutti preoccupati per i famigliari che vivono in Ucraina con i quali ci sentiamo frequentemente. Cerchiamo di fare ciò che possiamo per aiutare. Ho realizzato diversi video con musica ucraina, fatto concerti e progetti per contribuire. Un tour che ricorderò sicuramente a lungo è quello con l'Orchestra di Kharkiv, un’orchestra totalmente al femminile, dal momento che gli uomini non potevano lasciare il Paese. A fine di ogni concerto, dopo i brani di Skoryk, si poteva notare sempre qualche lacrima sul palco».