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Quegli 'American Echos' del Quartetto Adorno che affascinano e conquistano

di Luca Lucibello

È un magnifico omaggio all’America il programma proposto dal Quartetto Adorno per il suo debutto all’Istituzione Universitaria dei Concerti a Roma. Un programma poco frequentato (ad eslusione dell'ultimo pezzo) sebbene di grande fascino, accolto dai lunghi e calorosi applausi di una platea gremita soprattutto di studenti e professori della "Sapienza".

Composti in un arco temporale di 30 anni - tra il 1936 e il 1965 -, i primi tre lavori presentati hanno mostrato come nel corso del Novecento sia stata composta anche tanta musica con un idioma alternativo a quello dell’avanguardia contemporanea e sperimentale: musica moderna, pur se principalmente tonale e attraversata da una vena di lirismo romantico.

Già nel Quartetto op.11 di Barber proposto in apertura, l’Adorno ha catturato l’attenzione e il favore del pubblico cesellando gli energici Molto Allegro iniziale e finale, e raggiungendo una struggente intensità nel Molto Adagio centrale, divenuto celebre nella trascrizione che lo stesso compositore fece due anni dopo per orchestra d’archi, conosciuta come Adagio per archi op.11.

Nell’autobiografico Quartetto n.3 di Castelnuovo-Tedesco, da poco inciso per Naxos, i quattro musicisti hanno dato vita ad un’intima e fascinosa rievocazione sonora (attraverso i quattro movimenti Ritorno a Vallombrosa – L’abbazia – Il trenino – Discussione e tramonto) delle visite del compositore alla “Casa del Dono”, la dimora a Vallombrosa dello storico dell’arte Bernard Berenson, con il quale amava trascorrere lunghe giornate conversando.

Dopo l’intervallo è stata la volta di Echos di Bernard Hermann, considerato tra i maggiori compositori di colonne sonore del secolo scorso (lavorò con registi come Alfred Hitchcock, Orson Welles, François Truffaut). Lo stesso autore descrisse questo pezzo, composto dopo un drammatico litigio con Hitchcock e durante il suo secondo doloroso divorzio, come «una serie di ricordi emotivi nostalgici». Il lavoro, profondamente personale, si articola in diverse ‘scene’ sonore che presentano echi delle sue musiche da film, legate insieme da un bellissimo e malinconico tema ricorrente.

A chiusura del programma, il celebre Quartetto “Americano” di Dvořák, eseguito ancora una volta con piglio e disinvoltura dai quattro dell’Adorno, sempre perfettamente bilanciati. Di loro colpiscono la cura del suono, mai statico e uguale a se stesso, nonché la freschezza e la naturalezza delle interpretazioni. Un plauso particolare al violoncellista, Francesco Stefanelli, subentrato a febbraio a Stefano Cerrato e già perfettamente integrato nel gruppo.

Il Quartetto ha infine salutato il pubblico con un delizioso bijoux (...non a stelle e strisce come ci saremmo aspettati!): il Valzer composto da Schubert per il matrimonio dell’amico Leopold Kupelwieser. Il pezzo – come ha raccontato al pubblico il primo violino Edoardo Zosi - non fu mai scritto, ma fu tramandato oralmente di generazione in generazione nella famiglia Kupelwieser, finché nel 1943 una discendente lo suonò davanti a Richard Strauss che lo trascrisse facendone una versione per pianoforte, pubblicata solo postuma.

IUC, Roma
Martedì 19 novembre 2024

Fotografie di Damiano Rosa