“Notte trasfigurata” sotto la neve: Gringolts, Hagen & friends a Bolzano
di Johannes Streicher
La Società dei Concerti di Bolzano ha aderito a una proposta che evidentemente il direttore artistico non poteva proprio rifiutare: non solo un gruppo di sceltissimi solisti aveva deciso di collaborare per una serie di concerti a organico variabile – il che già di per sé sarebbe un plusvalore, considerando la tendenziale monotonia di proposte che si snodano per ogni dove sotto forma di sempiterna alternanza di duo violino-pianoforte e violoncello-pianoforte (viola, grande assente, batti un colpo!), trii con pianoforte e quartetti d’archi –, ma con la bellissima idea di riproporre la serata viennese del 18 marzo 1902, durante la quale il Quartetto Rosé aveva fatto ascoltare per la prima volta in assoluto Verklärte Nacht di Arnold Schönberg. Una delle partiture capitali di sempre, di cui esistono anche due trascrizioni (una per orchestra d’archi e una per trio con pianoforte), ma che senza dubbio è preferibile ascoltare nella versione originale per sestetto, specie se questo sestetto è formato da dei 'pezzi da novanta' come in questo caso. In effetti, era un’occasione da non lasciarsi scappare, per cui il Konzertverein di Bolzano poteva contare sulla collaborazione di tre altri enti, ovvero il Südtiroler Kulturinstitut, Jëuni de Mujiga de Gherdëina (Ortisei) e la Società Filarmonica di Trento.
Dunque, Ilya Gringolts, russo, che in realtà capeggerebbe un suo quartetto più o meno stabile, in questa occasione ha collaborato con un altro celebre quartettista, ovvero Clemens Hagen, il violoncellista dell’ormai storico Quartetto Hagen di Salisburgo, artefice di una delle più belle incisioni dei Quartetti di Mozart (e di tanto altro), mentre la parte del secondo violino è stata affidata alla tedesca Franziska Hölscher e quella della (prima) viola al suo conterraneo Gregor Sigl. Dico prima viola, poiché a Bolzano e Trento si è potuto rivivere proprio la stessa combinazione di lavori che si ascoltarono 122 anni fa nel Kleiner Musikvereins-Saal di Vienna, con la sola variante dell’inversione del secondo e del terzo brano: evidentemente Arnold Rosé (1863-1946), il già allora mitico Primo Violino di Spalla dell’Orchestra della Hofoper della capitale dell’Impero Austro-Ungarico (nonché cognato di Gustav Mahler, in quanto marito di sua sorella Justine, sposata proprio nel 1902), pur dando fiducia al giovane Schönberg, presentando, appunto, in prima assoluta il suo Sestetto per archi, aveva pensato che forse sarebbe stato più sicuro terminare la serata con un pezzo forte quale il Quintetto in Fa maggiore di Brahms; oggi, invece, visto che Notte trasfigurata nel frattempo è giustamente entrata nel repertorio, venendo considerata universalmente un capolavoro, i nostri musicisti hanno pensato bene di procedere in crescendo, partendo con un Quartetto, cui seguiva il Quintetto brahmsiano (op. 88), coronando il tutto con il Sestetto. Ci volevano, quindi, due viole – la parte della seconda era sostenuta dall’americana Lily Francis – e due violoncelli, laddove Clemens ha lasciato a sua figlia, Julia Hagen, la parte del primo in Schönberg, mentre era sempre la bravissima Julia a suonare l’unico violoncello in Brahms.
Detto ciò, come è andato il tutto? Molto bene! Mancava forse, però, quell’ultimo quid per fare di una bella serata un concerto di serie A1…
Arnold Rosé, Albert Bachrich, Anton Ruzitska e Friedrich Buxbaum la sera del 18 marzo 1902 eseguirono in apertura un Quartetto in Re minore di tale Hermann Grädener (1844-1929), un coetaneo di Pablo Sarasate, dunque, che aveva deciso, esattamente come Brahms, di trasferirsi dalla lontana Germania settentrionale (nella fattispecie Kiel, sul Mar Baltico) a Vienna, dove svolse attività di violinista, organista, teorico, insegnante, compositore e direttore di coro. Il suo primo Quartetto, op. 33, del 1898, si contraddistingue con un attacco all’unisono, un motivo caratteristico che potrebbe ricordare vagamente La morte e la fanciulla di Schubert, se non fosse che poi si perde un po’ per strada, zigzagando tra Schumann e certo secondo Ottocento, senza trovare una sua cifra troppo personale. Musica a tratti drammaticissima, a tratti piacevolmente lirica, che, dopo due movimenti tendenzialmente brahmsiani, nel terzo si presenta come evidentissimo omaggio assai ritmato a Dvořák; qui Gringolts, anch’egli slavo, si sentiva particolarmente a casa, e anche il quarto movimento è stato presentato con una bella grinta e uno slancio positivo che non lasciavano nulla a desiderare.
Il problema del povero Grädener non era che non avesse scritto un bel pezzo; il fatto è che gli sia nuociuta la vicinanza di Brahms, perché sono bastate le prime battute del Quintetto in Fa per capire che qui ci si muoveva su un altro pianeta. L’interpretazione, poi, era strepitosamente bella, di livello superiore: dal secondo tema nella prima viola, incredibilmente cantabile, di Sigl, alle prodezze del primarius Gringolts, che trascinava gli altri a piani sonori delicatissimi, morbidi, di bellezza paradisiaca, su dei bassi da bordone, poi, che Julia Hagen sapeva rendere con una tale pienezza di suono da rapire chiunque. Le masse sonore scatenate nello sviluppo, i crescendi esemplari, i trilli minacciosi nel registro grave nel secondo movimento, le leggerezze alate dell’Allegretto, la capacità di Gringolts di far emergere tutti con i loro rispettivi assoli, pur mantenendo saldamente il commando: un’esecuzione davvero memorabile. (Stranamente non premiata da applausi troppo convinti: vai a capire il pubblico di Bolzano…)
Dopo l’intervallo, infine, Verklärte Nacht: esecuzione di livello tecnico evidentemente al di sopra di ogni sospetto (e vorrei vedere, con musicisti simili). Quanto al discorso puramente musicale (esiste?), stranamente il tutto venne presentato “con passione trattenuta” (come se fosse un’indicazione agogica): Gringolts delicatissimo, Hölscher perfettamente compresa nel suo ruolo di ‘sostegno’ ideale, Sigl meravigliosamente cantabile, pizzicati stupendi nella seconda viola, il duetto ‘ciajkovskiano’ tra primo violino e primo violoncello da inginocchiarsi, il tappeto sonoro degli altri nella parte finale raffinatissimo, e via dicendo. I molti passaggi con sordino sembravano scritti apposta per Gringolts & Co, ma stranamente la passione sfrenata (che pure ci dovrebbe essere: basti leggere la poesia di Dehmel alla base del pezzo) non sembrava fosse il terreno preferito dei sei. Insomma, il suono di Gringolts era più orientato verso un ideale sonoro acuminato alla Gidon Kremer che non alla pienezza di cavata di David Oistrakh, per intenderci, e gli altri gli sono andati dietro: nulla di male, intendiamoci, ma talvolta io personalmente avrei voluto il Quartetto Borodin di prima maniera piuttosto che le raffinatezze sofisticatissime dei nostri. Sarà che la neve, che all’uscita dal concerto attutiva leggermente tutti i rumori della città, aveva influito sulla resa sonora del Sestetto? Deviando l’interpretazione da un “bosco freddo” che Dehmel vuole sia illuminato dall’“alta, chiara notte” verso le allucinazioni di Pierrot lunaire?
Società dei Concerti di Bolzano
Ilya Gringolts, violino
Franziska Hölscher, violino
Gregor Sigl, viola
Lily Francis, viola
Julia Hagen, violoncello
Clemens Hagen, violoncello
Conservatorio “Claudio Monteverdi” di Bolzano
21 novembre 2024, ore 19.30