È dedicato a Nino Rota il nuovo CD del violinista Alessio Bidoli
di Luca Segalla
Il mercato discografico sarà anche in crisi, se guardiamo ai numeri delle vendite, eppure ci sono musicisti che non si scoraggiano e continuano a credere nelle registrazioni. È certamente il caso del violinista milanese Alessio Bidoli, di cui è da poco uscito un nuovo album, sempre in collaborazione con il pianista Bruno Canino e sempre dedicato a un repertorio poco battuto dagli interpreti. Dopo la musica per violino e pianoforte di Camille Saint-Saëns ora tocca infatti alla musica da camera di Nino Rota, con la Sonata per violino e pianoforte del 1936/1937, i due Improvvisi per violino e pianoforte del 1947 e del 1969, The Legend of the Glass Mountain del 1949, sempre per violino e pianoforte, ed il Trio per flauto, violino e pianoforte del 1958, con il flautista Massimo Mercelli; a impreziosire l’impaginazione di un CD elegante anche nella veste grafica e nel corredo di immagini - oggi è cosa rara - c’è infine la rarefatta Sonata per flauto e arpa del 1937, interpretata da Massimo Mercelli con Nicoletta Sanzin.
Abbiamo sentito Bidoli al telefono, poche settimane dopo la fine del lockdown, e l’intervista non poteva non partire dall’emergenza Covid-19. Adesso c’è qualche concerto in vista, come ci confida, anche se tutto è ancora da definire, e con nostra sorpresa racconta di non avere impiegato per studiare del nuovo repertorio le lunghe ore che si sono improvvisamente liberate nella vita, solitamente frenetica, di tutti i musicisti.
«Mi dedico anche ad altro oltre che alla musica, come il cinema d’autore ed in queste settimane ho visto molti film, in particolare di Antonioni».
Quali sono i suoi registi preferiti?
«In realtà vado a periodi. Posso dire Truffaut, Buñuel, Billy Wilder. I capolavori dei registi più importanti, comunque, li ho visti tutti».
Avrei detto Fellini, pensando a queste sue registrazioni dedicate a Rota…
«Le confesso che per me Fellini è troppo surreale, è un regista difficile da comprendere. Penso per esempio ad 8½, che è un film bellissimo ma che si fa fatica a seguire. Con Truffaut è diverso: un film come Effetto notte si lascia seguire molto bene».
E registi che hanno saputo usare meglio la musica nei loro film?
«Zeffirelli, Visconti e Fellini».
Non a caso Zeffirelli e Visconti sono stati anche dei grandi registi d’opera. Parliamo però di Nino Rota: come è arrivato alla sua musica?
«Faccio una premessa. Registrare l’ennesima versione di una Sonata di Beethoven, con tutte le grandi interpretazioni disponibili su disco, oggi non ha molto senso. Se non si scelgono programmi sfiziosi, in grado di stuzzicare la curiosità del pubblico, i CD lasciano il tempo che trovano. L’idea di un album dedicato a Rota mi è venuta un paio di anni fa, seguendo una puntata di Fuori Orario, la trasmissione condotta su RAI3 da Enrico Ghezzi, nel corso della quale tra le altre cose veniva proposto uno spezzone di un filmato con Nino Rota e Mario Soldati. Un compositore così grande e nello stesso tempo così semplice è un caso davvero raro: la sua musica mi è arrivata diretta, con l’immediatezza e la bellezza del paesaggio e della natura di Bari, che ho potuto conoscere nel periodo in cui ho insegnato al Conservatorio di quella città, lo stesso che Rota diresse per molti anni».
Come possiamo allora spiegarci il lungo silenzio intorno alla musica pura di Rota?
«Nino Rota veniva considerato solo un compositore di musica da film. Nel suo catalogo, invece, troviamo la musica da camera, la musica sinfonica, l’opera. La sua musica è percorsa dalla nostalgia per qualcosa di perduto. Era una persona semplice ed era un compositore capace di arrivare direttamente all’ascoltatore: il suo aforisma “meglio una bella canzone che un brutta Sinfonia” lo rappresenta davvero molto bene e ci ricorda che dobbiamo guardare alla musica senza pregiudizi e senza preclusioni di genere.
La musica infatti si palesa da sola e non è necessario mettersi in mostra, come invece oggi molti tendono a fare. In queste settimane di lockdown su Facebook i musicisti hanno postato di tutto, si sono esibiti in ogni modo possibile, si sono lanciati in polemiche. Io mi sono limitato a postare qualche recensione e qualche video di qualche concerto: noi non facciamo moda, facciamo musica! Rota era conosciuto senza bisogno di tutta questa sovraesposizione, mentre oggi purtroppo i tempi sono cambiati, tutto deve girare velocemente in rete e non abbiamo più il tempo di riflettere».
Qual è il brano più interessante tra quelli che avete scelto di registrare?
«Tra i tutti brani del CD ci sono evidenti affinità sia per l’uso di elementi arcaizzanti, di sapore modale, si per i tocchi neoclassici, in cui ritroviamo degli elementi dello stile di Bartók, Prokofiev, Ravel, Stravinskij. Se proprio dovessi scegliere direi i due Improvvisi, quello in Re minore e quello in Do maggiore, intitolato Un diavolo sentimentale. In generale sono pagine molto amabili e credo che il nostro sia un disco che possa piacere al pubblico».
Arriva anche al momento giusto, perché ormai sono diversi anni che si è acceso l’interesse intorno a Rota come compositore di musica pura…
«È vero, però la discografia della sua musica da camera è ancora esigua, quindi in realtà stiamo esplorando un territorio ancora poco frequentato».
Tra l’altro i due Improvvisi sono moderatamente virtuosistici…
«Sì, soprattutto l’Improvviso in Re minore, con una scrittura un po’ alla Wieniawski. È una scrittura tra l’altro poco agevole per l’esecutore, probabilmente anche perché Nino Rota era un pianista e quindi la sua scrittura violinistica, come spesso accade con i compositori che hanno una formazione pianistica, non è sempre idiomatica».
Con Bruno Canino ci sono altri progetti in cantiere?
«Abbiamo già realizzato sette CD, compresa la ristampa, lo scorso anno, del disco dedicato a Verdi. L’idea è di continuare su questo palcoscenico virtuale della sala di registrazione e non facile, perché bisogna ritrovare le stesse emozioni di un concerto dal vivo e nello stesso tempo avere i nervi molto saldi. Se capitasse l’occasione si potrebbero fare dei CD dal vivo: per ora non ho pensato a questa possibilità, ma potrebbe essere una sfida per il futuro».